Se il Fashion Month fosse un torneo, a questo giro la settimana della moda parigina avrebbe vinto a mani basse.
“Cos’ha Parigi in più di noi?”
Ok, la risposta sarebbe lunga, articolata e forse soggettiva, ma se guardiamo alla moda è obiettivo come i francesi facciano scuola, perché non è un caso se l’industria della moda rappresenta la prima voce del PIL nazionale. Qui nascono e prosperano i grandi conglomerati del lusso, LVMH & KERING, qui gli emergenti trovano un palcoscenico di primordine, ma soprattutto qui la moda sa essere show e arte.
I soldi giocano sicuramente un ruolo importante, ma quello che bisogna apprezzare è il modo in cui sappiano fare sistema. Un esempio?
Il tempismo perfetto del Musée des Arts Décoratifs, che inaugura in pompa magna la mostra THIERRY MUGLER, COUTURISSIME (30 Settembre 2021- 24 Aprile 2022; dedicata agli iconici capolavori couture di Thierry Mugler) proprio nel pieno della fashion week parigina.
#NoSugar note: Il museo della moda italiano? Non pervenuto…anche perché non esiste.
Le collezioni SS2022 presentate alla PFW hanno brillato sicuramente per spettacolarità (grazie ai c/c di LVMH e KERING) sia in termini di location che per il formato di presentazione delle sfilate, tutte rigorosamente in presenza e con una folta selezione di celebrity da tutto il globo, dove hanno brillato per impression ed engagement sui social le star del kpop, i nuovi super influencer del momento.

Da Saint Laurent le modelle tornano finalmente a “casa”, che dopo aver affrontato dune di sabbia in Marocco o i ghiacci dell’Islanda, possono tornare a sfilare davanti alla Tour Eiffel accompagnate da giochi diluci e cascate d’acqua.
Mentre in molti guardano ai primi anni 2000, Anthony Vaccarello guarda agli archivi della maison tra gli anni ’70- 80: il risultato è un guardaroba audace, ricco di tailleur sartoriali, colori vividi, stampe floreali e accessori vistosi. La donna Saint Laurent della prossima stagione si ispira all’esuberante figura di Paloma Picasso, figlia del famoso pittore e grande amica nonché musa di Yves Saint Laurent.
Ad affascinare Yves Saint Laurent è stata la sua personalità prorompente ed il suo rifiuto delle norme sociali e di genere, elementi che hanno contribuito all’ascesa del femminismo negli anni ‘70.




Se a Milano il “sexy” è il nuovo trend post lockdown, da Saint Laurent parliamo di un elemento ricorrente nell’estetica sfacciata di Anthony Vaccarello: scollature profonde, tute aderentissime e blazer senza nulla sotto sono solo alcuni degli elementi ricorrenti di questa collezione, che ricorderemo sicuramente per il squisito taglio sartoriale dei pantaloni e dei blazer.
Da dimenticare forse le scarpe scelte dallo stilista: altissime, affilate e trasparenti…ma forse troppo irreali per funzionare nella realtà? 90 minuti di applausi alle modelle, che spero abbiano chiesto un aumento per essere riuscite a sfilare con questi trampoli su una passerella infinita e per di più bagnata!



#NoSugar note: Passo avanti sul casting delle modelle a questo giro più inclusivo per quanto riguarda l’età. Anthony bravo, ma stiamo ancora aspettando un pizzico di varietà anche sulle fisicità e le taglie…
Svolta sexy in piena regola per il Chanel di Virginie Viard, che per la collezione ss2022 rispolvera il mood sfacciato delle prime collezioni anni ’80-90 firmate da Karl Lagerfeld. Per rievocare quell’iconico immaginario Virginie Viard ha chiesto alle modelle di sfilare “alla vecchia”, esibendosi su una stretta passerella con i fotografi in primo piano. Lo show parte con una selezione di semplici look da spiaggia elevati nello styling con mix di collane, cinture gioiello e micro/maxi bag trapuntate: volevamo svecchiare Chanel? Missione compiuta. Si prosegue poi con qualcosa di più classico e familiare, con diverse proposte in tweed più o meno riuscite e si chiude con una selezione assolutamente superflua (nonché abbastanza
orribile) di look con stampe floreali. Questa è forse una delle collezioni meglio riuscite per Virginie, soprattutto per quanto riguarda lo styling, decisamente più pulito del solito per apprezzare fino infondo la sua visione della donna Chanel, forse meno appariscente di quella di Karl, ma sicuramente più reale.
Sembra incredibile anche a noi, ma a questo giro abbiamo parole incoraggianti anche per Mariagrazia Chiuri: sulla carta il suo Christian Dior è un successo commerciale senza precedenti (infatti è riuscita a superare le vendite del beauty!), ma sia la critica che gli appassionati come noi hanno sempre mantenuto un approccio decisamente più mite (se non freddo) verso le sue proposte. Questa volta l’applauso se lo merita: per la prossima stagione Mariagrazia Chiuri ha scelto di riproporre in chiave moderna il famoso “Slim Look” di Marc Bohan, direttore creativo della maison Dior negli anni ‘60.
La parola d’ordine è semplicità e questo vibe giovanile anni ‘60, (ma ispirato a sua volta ai ruggenti anni 20) è forse la carta vincente nell’evoluzione dell’estetica di Maria Grazia Chiuri: i pezzi forte della proposta primaverile/ estiva sono i tailleur con minigonne o shorts in colori pop (arancio, giallo, verde, fucsia) o classico bianco/nero. Interessante e visivamente piacevole le stampe con le tigri, versione stencil, applicate a cappotti, minidress ad A e minigonne.
#NoSugar note: La sezione boxe? Fingiamo che non sia mai esistita, grazie.
Presentazioni faraoniche anche da Balmain, dove Olivier Rousteing non ha badato a spese per organizzare una sfilata evento all’interno di un festival musicale di due giorni, aperto non solo alla lista vip di addetti ai lavori, ma letteralmente tutti. Il risultato è un pubblico di 6000 persone interessate non solo ad ascoltare buona musica ma anche a vedere finalmente di persona le sue creazioni. Perché tanto rumore? Per festeggiare il primo decennio di Olivier Rousteing alla guida della storica maison francese.
La sua avventura con Balmian inzia nel 2011 a soli 25 anni: è il più giovane direttore creativo che la maison abbia mai avuto, ma anche la prima persona nera a conquistare un titolo così importante nella storia della moda francese. Le aspettative su di lui sono altissime e la schiera di persone che lo vorrebbero fuori dai giochi il prima possibile, non si accorcia. Eppure eccolo qui, 10 anni dopo e nessun accenno a rallentare la sua corsa, perché il posto sull’Olimpo della moda se l’è guadagnato a tutti gli effetti: lo ricorda anche Beyoncé, in un discorso registrato (mandato in onda durante la presentazione della collezione uomo-donna ss2022) dove loda la resilienza dello stilista e la sua passione per la moda e la sua inconfondibile estetica che celebra la figura di chi l’indossa.
Olivier sceglie di presentare le collezioni uomo e donna congiuntamente e di unirle in termini di estetica: a farla da padrone sono silhouette morbide, spesso oversize ma comunque sexy, grazie a profonde scollature, cut out o trasparenze. Il fil rouge di questa selezione è il motivo a catena, un esplicito elemento di collegamento nella narrativa di queste proposte. Ci sono poi cinque abiti costruiti con quelle che sembrano fasce elastiche, tipo quelle che usano per le medicazioni. Perché? Con questi abiti Olivier Rousteing vuole condividere ed insieme esorcizzare un episodio spiacevole, ovvero un incidente domestico che gli ha provocato gravi ustioni su tutto il corpo e lo ha costretto in ospedale per circa un mese.
La sfilata si chiude con una capsule collection di 17 abiti, una ri—edizione degli opulenti design che lo hanno reso celebre la sua firma per Balmain. A massimizzare l’impatto visivo di questa ultima sezione non poteva mancare un pool di storiche supermodels come da Naomi Campbell (richiestissima questa stagione), Mariacarla Boscono e Carla Bruni, mixate alle potenziali supermodels di oggi come Precious Lee, Imaan Hammam, Adut Aketch e Edie Campbell.











Il festival di Balmain è un modo non convenzionale di rivedere il formato di presentazione delle collezioni moda in presenza: sulla stessa linea di pensiero troviamo anche Valentino e Balenciaga, opposti nell’estetica, ma vicini sulla filosofia di celebrare le persone e “lo stare insieme”, dopo l’esperienza di isolamento che abbiamo vissuto tutti negli ultimi due anni.
Pierpaolo Piccioli ha scelto di sfilare per strada al mercato del Carreau du Temple, in mezzo alla gente seduta ai cafè bordo strada, rifiutando l’idea di chiudersi in palazzi dorati accessibili solo a pochi.
L’obiettivo dichiarato da Pierpaolo Piccioli è quello di rendere la moda più democratica e in sintonia con i tempi, valorizzando prima la persona che indossa l’abito e celebrando così l’idea di una comunità che si stringe attorno a valori comuni. Questa voglia di apertura ad un pubblico più variegato, si traduce in una collezione dal sapore casual, ma che non tradisce l’anima couture della maison italiana.
C’è un bellissimo dialogo tra il passato e il presente di Valentino, con riedizioni di look presi dalle collezioni anni ’70, quelle che hanno fatto innamorare Pierpaolo Piccioli della moda. E’ stata la fotografia di moda ad avvicinarlo a questo mondo e per l’occasione ha reso omaggio a quelle immagini che lo hanno colpito da ragazzino, ricreando alcuni scatti celebri con la nuova Ambassador del brand, Zendaya.
Altra perla della collezione è la versione “couture” della tipica uniforme giovanile, jeans e maglietta bianca, un modo per elevare e rendere speciale un pezzo della nostra quotidianità.
Le presentazioni originali e/o inusuali non sono invece una novità per Denma Gvasalia: con lui Balenciaga ha imparato a parlare il linguaggio dei social e dei gamers, conquistando in poco tempo l’attenzione del
pubblico generalista. Questa volta Denma mostra un lato più ironico del solito, confondendo il confine tra moda e Hollywood, tra pubblico e performance. Denma Gvasalia ha scelto di allestire un red carpet all’ingresso del Théâtre du Châtelet, dove il cast di modelli ha sfilato in incognito tra le celebrità invitate allo show. Quindi vediamo un simpatico gioco di ruoli, dove il tipico cast variegato di Balenciaga posa davanti ai flash dei fotografi come celebrity alla prima di un film, mentre le “vere” celebrity si trovano a fare i modelli seppur inconsciamente. A chiudere questo “circo mediatico” versione red carpet arriva Denma Gvasalia completamente vestito di nero e il viso coperto da una maschera: è il momento di entrare a teatro, perché la finta premiere così finta non è; infatti ad attendere gli ospiti c’è la proiezione di uno speciale episodio dei Simpson dove Marge e Bart si ritroveranno a sfilare a Parigi per Balenciaga.
C’è da dire che il modo in cui Denma utilizza la moda per progetti di comunicazione è davvero singolare ed interessante: definire Balenciaga una “semplice” casa di moda suona riduttivo ormai. Il suo messaggio non è sempre limpido o di immediata comprensione, ma c’è sempre, quindi ogni collezione diventa una caccia al tesoro per chi si sente abbastanza curioso da avventurarsi. Per chi si accontenta della superfice, invece ci sono i vestiti, streetwear elevato ad oggetto di lusso, che piaccia o meno, sa vendersi bene, ma soprattutto riesce sempre a far parlare di sé.
Sarà per questo che Denma Gvasalia ha scelto Kim Kardashian come nuova ufficiosa testimonial del brand? Forse ad oggi la donna più famosa ed influente al mondo, così unica da potersi presentare al MET GALA completamente nascosta, in un ensamble total black di Balenciaga, che sottolinea la silhouette che l’ha resa unica e inconfondibile.

Le restrizioni dei lockdown hanno avuto effetti diversi su ciascuno di noi, e questo è particolarmente per i designer che hanno indirizzato la propria creatività su binari diversi.
C’è chi ha cercato una fuga dalla realtà come Daniel Roseberry che continua il suo viaggio avvincente nel surrealismo di Schiaparelli con una ulteriore ritrovata ironia, che sembra piacere al suo pubblico ma soprattutto ai suoi clienti.





Ironico anche l’approccio di Miuccia Prada per Miu Miu, dove riflette con un po’ di pragmatismo sull’uniforme da sfoggiare all’indomani del lockdown, che ci ha privato della socialità e forse di esperienze formative. Miuccia immagina il giovane che finalmente entra nel mondo del lavoro post-pandemia in maniera un po’ ribelle, consapevole che le certezze e forse valori su cui poggiava il loro mondo sono stati messi in discussione. E quindi anche il dress code. In passerella vediamo look da ufficio ripresi dagli archivi di Miu Miu, ma totalmente “sfigurati” ridotti ai minimi termini da forbici o con proporzioni caotiche. Se il defilé fin qui vi ha destabilizzato, apprezzerete di più i rassicuranti slip-dress con applicazioni preziose, immancabili da Miu Miu.
Da Givenchy e Louis Vuitton si è scelto forse inconsciamente, un’estetica post apocalittica che unisce futuro e passato, bypassando il presente. E forse è la cosa più gentile che possiamo dire su quest’ultima collezione di Nicolas Ghesquière, dove ha fatto più parlare di sé l’incursione degli attivisti durante la sfilata, che gli abiti stessi (PR stunt?).
La collezione primavera estete di Matthew Williams per Givenchy ci ha lasciato invece un sapore dolce amaro. Da un lato si ama la maglieria e il taglio sartoriale super affilato dei blazer e dei classici tailleur, chiusi dal gancio metallico che sono ormai la sua firma, oppure la ricerca continua sulle calzature, futuriste nel design ma anche nella tecnologia di lavorazione. Dall’altro ci sono elementi nonsense a cui non sappiamo come reagire, come la scelta del neoprene per capi strutturati come giacche e gilet con peplo in vita, oppure il cappio che diventa collana glamour? Se questo è un preludio della sua prima collezione couture che vedremo a gennaio meglio armarsi di tranquillanti.