Tempo di tirare le somme sul Fashion Month appena concluso…
First stop: MILANO FASHION WEEK
La nostra sintesi in 3 punti:
- fil rouge: sensualità a corte
- sos trend: nostalgia anni 2000’
- tutto hype & nient’altro?
Forse un po’ semplicistico, ma questi tre punti sono la chiave di lettura di un parterre di collezioni che apre il capitolo post-pandemia; infatti, secondo le case di moda italiane, la prossima primavera ci vedrà estrosi e seduttivi, una sorta di ribellione ai mesi di lockdown passati in pigiama/tuta. Nessuno escluso: dai top in macramè con nulla sotto di Alberta Ferretti ai micro bandeau di Re Giorgio: il messaggio appare forte e chiaro.
Fausto Puglisi continua il revival di Cavalli, dando nuova vita alle arci famose stampe animalier della maison, che hanno spopolato nei primi anni 2000. I look monocromatici con applicazioni dorate a forma di tigre, sono stati una piacevole sorpresa, necessaria forse per riposare gli occhi tra una stampa e l’altra: che Cavalli non sia facile da digerire per tutti non è proprio il terzo segreto di Fatima, ma ciò non vuol dire che non esista una clientela per questo tipo di abbigliamento (bacione agli amanti di Philip Plein & co). Il rebranding di Puglisi sembra funzionare, almeno nel mondo del celebrity styling dove alcuni full look hanno già trovato un momento di gloria sui social.
Sempre sul filone nostalgico “primi anni 2000” si consolida invece la posizione di Blumarine guidata da Nicola Brognano, con un guardaroba che farebbe impazzire la Paris Hilton di The Simple Life. Ali di farfalla e polvere di fata sulle modelle, che riportano in auge i famigerati pantaloni a vita bassa, micro top e slip dress: un po’ Barbie, un po’ hippie. L’impatto visivo della collezione in foto ed in passerella è forte, quasi teatrale: forse troppo “costumy” per il mondo reale? Parola alle vendite!
Un approccio più intellettuale alla sensualità non poteva non arrivare che da Prada. Miuccia e Raf hanno presentato una collezione fatta di look con una doppia anima, casta e provocante allo stesso tempo. Doppia è stata anche la modalità di presentazione: per la loro prima sfilata in presenza i designer hanno pensato di mandare in scena la stessa collezione in simultanea a Milano e a Shanghai, due capitali lontane con quasi 9 ore di fuso orario. Una dimostrazione di forza che ha quel sapore di marketing aggressivo che tanto piace a Raf Simons. Elemento ricorrente della sfilata è la minigonna, spesso presentata con uno strascico geometrico sul retro ed abbinata da chiodi in pelle oversize. La maglieria e i top si lasciano influenzare dalla lingerie e dai corsetti con risultati più o meno riusciti (forse è stupido cercare la praticità nel lusso, ma Prada ha sempre preferito un approccio più immediato e utilitario).
Poi ci sono i vestiti, morbidi e casti sul davanti, a volte con stecche brandizzate (e removibili) a delineare una silhouette, quanto provocatori sul retro, dove mostrano ampie scollature sulla schiena. Anche qui, il concetto è brillante, ma è difficile pensare al cliente tipo di Prada che cerca di declinare questi abiti nella realtà… forse i mini dress avranno più successo.
Interessanti anche le mini tute/mini dress, con shorts incorporati, decisamente appetibili per il pubblico asiatico, già avvezzo a questo tipo di styling.
Ok, se siete arrivati fino a qui, meritate di sentire i nostri due cent su FENDACE, la collaborazione tra Versace e Fendi. Potevamo farne a meno.
Non diciamo sbagliata, perché la moda non è un problema matematico con un’unica soluzione: in termini di pubblicità e marketing è l’ennesima “genialata” per fare soldi, è inutile cercare messaggi nascosti più profondi.
Da un punto di vista estetico, pensiamo invece che questa collaborazione sia stata forse prematura. L’obiettivo, oltre a quello di cui sopra, era quello di creare ulteriore hype attorno a Fendi ed al suo nuovo direttore creativo, ovvero Kim Jones (il genio commerciale dietro Dior Men). Tuttavia le prime collezioni del designer inglese alla guida della maison romana hanno peccato di personalità: quest’ultima collezione ss2021 ispirata allo studio 54 di New York è sembrata un netto miglioramento rispetto alle uscite precedenti, ma ancora siamo lontani dall’identificare inequivocabilmente la sua firma per Fendi.
Dall’altra abbiamo Donatella Versace che i codici estetici della maison di famigli li sa a memoria, tanto che ogni collezione diventa sempre un diverso revival/tributo degli archivi. L’ultima collezione infatti è stato un trionfo di spille, meduse e stampe foulard. Il tocco di modernità se vogliamo sta negli accessori dai colori pop. In generale una collezione meno memorabile rispetto alla precedente, dove ha debuttato il motivo “la greca”, ma ce la ricorderemo lo stesso perché in passerella c’erano Naomi, Dua Lipa e Lourdes Maria, la figlia di Madonna.
Voce fuori dal coro è MARNI, che ha scelto di incentrare la sua presentazione sul concetto di inclusività: pubblico e modelli sono stati vestiti con i capi della collezione, quasi a sottolineare un senso di appartenenza ad uno stesso gruppo; lo styling dei modelli invece ha cercato di dare rilevanza agli abiti, portando il loro aspetto in secondo piano. Margherite e strisce colorate la fanno da padrone su abiti morbidi, spesso dalle linee over; interessanti le giacche di pelle da biker sempre molto over. In generale una collezione con un bellissimo messaggio, ma che forse servirebbe vedere con uno styling diametralmente opposto per apprezzarla veramente.





Gucci è rimasto fedele all’impegno di mostrare le proprie collezioni secondo un proprio calendario arbitrario, ma ha sfruttato l’occasione della fashion week per inaugurare il progetto GUCCI VAULT, uno spazio e-commerce in cui è possibile trovare originali accessori vintage di Gucci, riportati allo splendore originario tramite restauro; tra di essi anche pezzi unici personalizzati da Alessandro Michele. Un‘interessante strategia di marketing che strizza l’occhio ai valori di sostenibilità che molti cercano oggi. In Gucci Vault c’è spazio anche per i giovani: infatti accanto alla proposta vintage restaurata, troverete capi di alcuni brand emergenti come Cormio, Bianca Saunders e Yueqi Qi. A prescindere dai gusti personali quando si parla di Gucci, è molto bello il modo in cui il brand sfrutti la sua fama e la sua visibilità: certo ci sono le collaborazioni commerciali, ma questa apertura verso brand minori che necessitano di visibilità per sopravvivere è davvero ammirevole.
E già che parliamo di brand minori, pensiamo di non essere i soli ad aver notato che le vere stelle di questa fashion week siano stati loro, i giovani designer desiderosi di far conoscere il proprio peculiare punto di vista al pubblico della moda, spesso abbagliato dai lustrini e dai riflettori sulle grandi maison.
Partiamo da Act n.1 di Luca Lin e Galib Gassanoff, che racconta con gusto contemporaneo il background multiculturale dei due stilisti, tra arte antica cinese e artigianato azero.
Alessandro Vigilante sta facendo parlare di sé per i tagli dei sui capi, dove il suo background legato alla danza restituisce un’estetica moderna e decisa fatta di provocazioni.


Nel campo della maglieria i nomi di punta oggi sono quelli di Cormio con la sua reinterpretazione della maglieria tirolese, e di Andrea Adamo che gioca più sul nudo e sull’athleisure.
Annakiki porta suggestioni futuriste con la sua collezione black and white, mentre SSheena colpisce per il design affilato e le stampe geometriche sugli abiti in maglia leggera.