Credo che nessuno, all’infuori dello stesso Alessandro Michele, avrebbe potuto predire che l’addio di Gucci alle passerelle (e all’insostenibile calendario imposto dall’industria della moda), avrebbe portato il brand italiano a sperimentare con il cinema.

Sperimentazione che è diventata realtà con il GUCCI Fest, il festival cinematografico ideato da Alessadro Michele, che con proiezioni giornaliere distribuite nell’arco di una settimana (dal 16 al 122 novembre) sul canale Youtube di Gucci (ma anche su Wibo e sul sito GucciFest), ha presentato la nuova collezione di Gucci, dal titolo “Overture of something that never ended”.
Collezione che viene mostrata attraverso una mini serie omonima in 7 episodi, ideati da Alessandro Michele e diretti assieme al regista americano Gus Van Sant, con protagonista l’attrice, scrittrice e performer italiana Silvia Calderoni. Il risultato finale è un prodotto sofisticato, in bilico tra cinema d’autore e cultura pop, tra arte e moda: forse un vero manifesto riassuntivo dell’universo Gucci costruito da Alessandro Michele, fin dal suo esordio come direttore creativo nel 2015.
In questa miniserie, dove i dialoghi si contano sulle dita di una mano, sono i dettagli non verbali a lanciare i messaggi più forti. Nulla è lasciato al caso: styling, musiche, location sono stati scelti per un fine specifico, così come il casting degli stessi personaggi, che ci ha offerto dei cameo di figure illustri, come il grande critico d’arte italiano Achille Bonito Oliva, il filosofo spagnolo sulla teoria del genere Paul B. Preciado e l’attore/drammaturgo Jeremy O. Harris, ma anche mainstream come i cantanti Harry Styles, Billie Eilish e Lu Han.



Dopo aver visto l’ultimo episodio di questa serie, pubblicato domenica sera, ho sentito il bisogno di riorganizzare i pensieri, per capire cosa mi avesse lasciato il Gucci Fest dopo 7 giorni passati alla scoperta dell’universo di Alessandro Michele.
Esagererei se dicessi che mi ha cambiato, la vita, ma sarei una bugiarda se non ammettessi che in un certo senso questa esperienza ha condizionato il mio sguardo ed il mio interesse per la moda.
La mini serie di Gus Van Sant e Alessandro Michele mi ha portato a riflettere su 4 aspetti, 4 temi che a loro volta definiscono i pilastri su cui si fonda la nuova identità di Gucci.
1. LIBERTA’ & GENDER FLUID
L’interesse di Alessandro Michele per un’estetica sempre più gender fluid, che abbatte le convenzionali distinzioni di genere richieste dalla società, non è un segreto. Nella serie questo aspetto viene sottolineato più volte e forse esasperato: dalla scelta di una protagonista con un aspetto volutamente androgino, alla presentazione di abiti e accessori come privi di genere, perché indossati indistintamente da uomini e donne. Un gioco che dimostra come la moda possa costruire una narrativa alternativa a quella convenzionale: se storicamente anche la moda ha contribuito alle distinzioni di genere richieste dalla società, ora Alessandro Michele vuole utilizzarla per sperimentare il processo inverso, vestendo tutte le sfumature tra i due poli, uomo e donna.
Questo gioco, però deriva da una riflessione più profonda, che diventa particolarmente chiara nel primo episodio, quando la protagonista Silvia ascolta alla tv un intervento del filosofo spagnolo Paul B. Preciado, una tra le voci più influenti della teoria di genere.


“La moda ha contribuito storicamente a stabilire differenze sociali e politiche tra uomini e donne. L’abbigliamento è una sorta di travestimento sociale che si impone sui corpi e ne stabilisce l’identità politica. È impossibile comprendere il concetto di mascolinità senza conoscere cosa abbia significato e cosa significhi ancora oggi per un uomo indossare i pantaloni, la stessa cosa vale per le donne con gli abiti. Ma la moda, almeno dopo gli anni ’60, ha anche contribuito ad accendere il dibattito su questi concetti e su certe differenziazioni. La sfida ai concetti di genere, in un certo senso, passa anche dal ridisegnare un paio di pantaloni, una camicia, un vestito, un paio di scarpe. La moda è in ultima analisi uno spazio dove l’idea di genere e di sessualità sono costantemente negoziati”
Paul B. Preciado
2. LA “COMMISTIONE DELLE ARTI”
Commistione, mescolanza. Nel terzo episodio di questa miniserie assistiamo ad un dialogo forse ai limiti del surreale: una telefonata tra il famoso critico d’arte italiano Achille Bonito Oliva e il cantante inglese Harry Styles. Il critico parla in italiano, il cantante risponde in inglese. Sono ambasciatori di due mondi diversi, parlano due lingue diverse…eppure si capiscono, dialogano, perché condividono lo stesso messaggio. L’accostamento di questi due personaggi ha un che di paradossale, ma ciò di cui parlano non potrebbe essere più reale.

“Viviamo in un’epoca un po’ ansiosa, dominata da conflitti e contrapposizioni, ma anche da una compresenza di diversità che è motivo di gioia. Tutto ciò si manifesta in tanti contesti culturali, dall’arte alla musica, alla moda, al teatro e al cinema […] Possiamo dire che questa è un’epoca di commistione.”
Achille Bonito Oliva
Cinema, teatro, danza, musica, scrittura, pittura…e infine la moda: sono tutte forme d’arte applicata che traducono o meglio raccontano cosa accade nel mondo oggi. Tutte forme d’arte che Alessandro Michele evoca per tradurre il suo pensiero, il suo immaginario, la sua poetica.
3. SOSTENIBILITA’
Altro tema ben eseguito, ma soprattutto ben studiato. Se togliamo ogni possibile intento artistico dal progetto Gucci Fest, rimaniamo con il progetto di una particolare strategia di marketing per promuovere la nuova collezione di Gucci.
Ma in cosa consiste la nuova collezione di Gucci “Overture of something that never ended”? In una selezione dei capi chiave presi dalle passate edizioni, quasi a dire che quegli abiti, quegli accessori non avevano ancora cessato di esistere.
C’è una bellissima scena nel primo episodio, dove Silvia, la protagonista, raccoglie un abito dalla sedia di casa, si affaccia alla finestra e lo lascia cadere in strada.

Un gesto strano, che diventa simbolico se pensiamo che quello gettato è un abito della collezione donna Autunno Inverno 2015, la prima di Alessandro Michele per Gucci. Abito che ora diventa parte integrante della nuova collezione “Something that never ended” (come recita la nuova etichetta esclusiva). Non a caso, Silvia non butta l’abito nella spazzatura, ma lo lascia cadere per strada affinché qualcun’altro lo raccolga e lo faccia suo. Infatti quest’abito ritornerà in diverse scene della serie, indossato da diversi personaggi con stili diversi.
Non è una metafora complicata, perché riflette ciò che accade con il vintage, che è forse la più grande fonte d’ispirazione per Alessandro Michele: nel sesto episodio la protagonista si commuove davanti alla vetrina di un negozio vintage, la cui insegna neon recita “Gucci”. Un invito a dare valore a ciò che è stato dandogli una seconda vita.
Io ci ho visto un rifiuto alle numerose ed effimere tendenze generate dall’industria della moda. Il Gucci di Alessandro Michele è orgoglioso di ciò che è, non deve rincorrere nessuno.
4. INCLUSIVITA’
Un brand che abbraccia tutti indistintamente. Età, etnia, genere, sesso o corporatura non sono limitazioni che il brand pone a chi può indossare le sue creazioni. E’ il messaggio che traspare dalle diverse campagne pubblicitarie di Gucci, dall’abbigliamento al beauty.
Tuttavia è giusto non dimenticare alcuni recenti scandali che Gucci ha affrontato sull’argomento razzismo, come il caso del tristemente famoso maglione a collo alto, che ricordava la pratica razzista del blackface, oppure il “tributo” mal comunicato al designer afro americano Dapper Dan. Errori da cui il brand ha scelto di imparare, non solo scusandosi pubblicamente, ma sviluppando iniziative di ristrutturazione interna per includere più professionisti neri nel proprio organico, in modo da ampliare il proprio spettro di sensibilità ed evitare episodi simili in futuro.
Questo lavoro positivo sull’inclusione delle diversità è molto presente anche nel GucciFest, dove vengono coinvolti non solo modelli di diversa etnia, ma anche figure di spicco come la poetessa e cantautrice Arlo Parks o il drammaturgo americano Jeremy O. Harris, famoso per le sue opere teatrali legate al razzismo che gli sono valse numerose nomination ai Tony Awards.



Un altro aspetto importante da cui si percepisce il valore dell’inclusione è la stessa accessibilità del festival.
GucciFest nel suo insieme potrebbe essere considerato un prodotto di nicchia, ma il team Gucci ha scelto di rifiutare il classismo tipico dell’ambiente moda, per una condivisione più democratica.
Ecco che i video del Gucci Fest sono accessibili a tutti gratuitamente tramite piattaforme come Youtube o Weibo (per la Cina): un modo per dire che l’arte è per chiunque voglia fermarsi a contemplarla.
NON SOLO GUCCI: I 15 DESIGNER EMERGENTI DEL GUCCI FEST
Un’altra dimostrazione di questo spirito di condivisone ed inclusione è la scelta (generosa) di condividere il palco virtuale del Gucci Fest con 15 giovani designer emergenti .
Un programma di mentorship con cui Gucci ha supportato ciascuno di questi creators nella libera creazione di un video di presentazione da includere nella programmazione del festival.
Questi piccoli cortometraggi, ci trasportano nell’immaginario di ciascun brand, che a sua discrezione ha sfruttato questa occasione per raccontare qualcosa di sé, del proprio background, delle proprie fantasie o dei propri valori. C’è chi ha scelto stili di regia e narrativa più classici e chi ha scelto qualcosa di meno prevedibile e più pop.
Tra i video che mi hanno colpito maggiormente ci sono :
- il corto “Joy”, della stilista Priya Ahluwalia, che celebra la “bellezza quotidiana e la forza dell’esistenza Black”.
- l’evocativo ed emozionate corto “TARO BUDDHA” della stilista e artigiana cinese Yueqi Qi; in questo video la stilista racconta i luoghi della sua infanzia.
- il corto “The pedestrian” della stilista Bianca Sunders, che esplora in maniera leggera il concetto di “uomo perfetto”.
Il GucciFest non sarà stato necessario, ma l’ho trovato incredibilmente soddisfacente sotto ogni punto di vista. Questo progetto dimostra che l’amina intellettuale e commerciale di Gucci suonano all’unisono una melodia ben definita e limpida, grazie ad Alessandro Michele.
