“The next global fashion superstar is in this room”
Tim Gunn
Volano parole grosse nel nuovo fashion contest targato Amazon Prime Video, dove 12 stilisti provenienti da tutto il mondo si contendono un montepremi a 6 zeri, una collaborazione con Amazon Fashion e la promessa di diventare la prossima stella della moda mondiale (ansia ne abbiamo?).
A giudicarli una elite di personalità di prim’ordine nell’industria della moda, tra cui Carine Roitfeld, Joseph Altuzarra, Nicole Richie, Naomi Campbell e Chiara Ferragni.
Al timone dello show (sia come produttori che conduttori) non potevano che esserci loro, la coppia più amata del piccolo schermo, Heidi Klum e Tim Gunn.
Ok, a prima vista sembra di avere tra le mani il classico “Project Runway”, ma con sponsor diversi (in questo caso una piccola realtà chiamata Amazon) e più budget (sia in termini di produzione, qualità e valore del premio finale) .
Tuttavia, guardando le prime puntate (infatti ogni settimana saranno disponibili 2 nuovi episodi per volta) si notano alcune cruciali differenze con il format di origine, rispetto al quale Making The Cut si dimostra essere un’interessante evoluzione.
FASHION IS BUSINESS : LA FORMULA “SEE NOW, BUY NOW”
Non è un segreto che Amazon faccia di tutto per attirare e trattenere la nostra attenzione sulle sua piattaforma, Amazon Prime e Amazon Prime Video ne sono un esempio lampante.
Quindi non stupisce il taglio business di Making The Cut: infatti in ogni sfida agli stilisti è richiesto di produrre due look, uno più glamour e scenografico da affiancare ad una proposta più accessibile (= commerciale), che in caso di vittoria verrà subito resa disponibile per l’acquisto su Amazon Fashion ( in edizione limitata, nella sezione dedicata a Making The Cut).
Una situazione win-win tanto per lo spettatore che per Amazon.
Dov’è l’inghippo?
Il poliestere.
Lo show non sembra dare un budget agli stilisti per l’acquisto dei tessuti, il che permette loro di scegliere tessuti di prim’ordine per le proprie creazioni, tuttavia le repliche dei look vincenti in vendita su Amazon sono prettamente in poliestere. E con prettamente intendo 100%.
Perché non mantenere la qualità del’originale ed alzare leggermente il prezzo?
I CONCORRENTI: DESIGNER Sì, SARTI…GIAMMAI?
Questo è il punto più interessante se non controverso dello show: un buon fashion designer deve necessariamente essere un buon sarto?
Questo spunto di riflessione viene particolarmente evidenziato nel secondo episodio, dove una concorrente (pur avendo una linea di moda già avviata) si dimostra incapace tanto nella scelta dei tessuti quanto nel loro impiego(come la realizzazione del cartamodello ed il taglio del tessuto).
In Project Runway siamo stati abituati a vedere l’equazione designer=sarto e ci siamo appassionati alle corse contro il tempo dei concorrenti per finalizzare la confezione dei look da mandare in passerella.
Con Making The Cut questo aspetto viene “mitigato”, perché agli stilisti vengono messi a disposizione dei sarti, che avranno il compito di avanzare/ultimare il lavoro imbastito/ideato dallo stilista. Al concorrente non resta quindi che iniziare il lavoro e lasciare delle linee guida dettagliate e chiare ai sarti che prenderanno in mano il capo in sua assenza.
Questo perché l’enfasi è posta sul “design”, l’aspetto finale, l’idea, mentre l’esecuzione pratica viene messa in secondo piano (anche se non trascurata del tutto).
Sembra una situazione “comoda” , ma in verità è uno specchio sulla realtà, dove molte case di moda vantano direttori creativi che non sono in grado di dare forma alle proprie idee senza una serie di aiuti più tecnici.
Quella che dovrebbe essere un’eccezione è diventata via via quasi una regola (pensate ad esempio alle collezioni realizzate da celebrity) che porta a definire designer “un po’ chiunque” abbia un marchio avviato.
E qui sorge spontaneo chiedersi: è possibile definirsi professionisti nel proprio campo se si ignorano aspetti tecnici cruciali della propria professione?
L’OBIETTIVO: TROVARE UNO STILISTA MEMORABILE o TRENDY?
Altro punto non molto chiaro dopo i primi due episodi: i giudici cercano un designer capace di presentare look memorabili con un punto di vista nuovo oppure basta che realizzino capi commerciali in armonia con i trend del momento?
Troppo presto per decidere, ma speriamo che i prossimi episodi pendano per la prima opzione.
LA SORPRESA CHE NON TI ASPETTI: MORE NAOMI CAMPBELL, PLEASE !
“They could not afford me”, questa la celebre risposta di Naomi Campbell alla domanda “perchè Victoria’s Secret non ti ha mai ingaggiato come testimonial fissa?”.
Quindi ringrazio Amazon per aver dato ad Heidi Klum abbastanza budget per permettersi una giuria di prim’ordine. E per prim’ordine intendo Naomi Campbell.
Supermodella, attivista, attrice e imprenditrice: sono poche le cose che Naomi non sappia fare e sono felice che possa aggiungere miglior personaggio televisivo di sempre.
“I would not put my mother in that dress” è una delle tante massime che vorrei indossare in bella vista su una t-shirt se non tatuarmela sul petto.
Se vi aspettate di vederla nei panni del giudice severo avete indovinato, ma non aspettatevi commenti al vetriolo fini a sé stessi: dalle sue critiche traspare conoscenza e rispetto per il mondo della moda, obiettività e schiettezza. Io mi sono trovata d’accordo con lei su ogni singolo giudizio e ho apprezzato la serietà con cui ha vestito il ruolo di giudice. W la sincerità.
LA SPETTACOLARITA’: I PREGI DI UNO SHOW AD ALTO BUDGET
Non sempre avere tanti soldi significa produrre qualcosa di qualità (es tutta la saga di Transformers, Cinquanta Sfumature di Grigio & co, la saga di Twilight ecc).
In ogni caso, avere più budget apre molte più possibilità, che Making the Cut ha saputo cogliere al volo: dai viaggi nelle capitali della moda alla qualità delle immagini, dalla narrativa dello show al montaggio.
Making The Cut è un piacere per gli occhi, soprattutto in questo triste periodo di quarantena dove ci stiamo abituando a città deserte e senza vita: da una piovosa New York lo show approda nella più soleggiata e affascinante Parigi, il tutto con una cinematografia degna del miglior documentario.
Vedrete sfilate notturne alle luci della Tour Eiffel, in riva alla Senna e defilè nel Musée des Arts décoratifs, mentre i trailer delle prossime puntate promettono meraviglie da streetstyle anche da Tokio!
Quella di Amazon è quindi una scommessa vincente: Making The Cut è ufficialmente il nuovo guilty pleasure della rete. Quanto al lancio della nuova “superstar” della moda internazionale resto decisamente più scettica, ma non mi dispiacerebbe avere torto.