PARIS COUTURE WEEK 2020

Alexandre Vauthier

Femminilità multiple choice

Una roulette russa di modelli il cui filo conduttore è quello di delineare una donna powerful, maliziosa, piena di carattere.

Una sorta di amazzone di giorno, con giacca a revers ampiamente aperti e pantaloni grigi infilati negli stivaletti, per passare al gessato in lurex o all’uniforme militare turca alla sirena con un fascinoso tubino di strass con le sfumature di una laguna tropicale, oppure il gonnellino a balze di una ballerina di cancan.

Da sottolineare, le calzature tutte realizzate da Amina Muaddi.

Givenchy

La donna come un fiore

Claire Waight Keller è capace di incarnare e rendere eterno il sogno della Haute Couture.

Il brand punta su strutture stilistiche piene di petali e boccioli: si va dall’iris alla pansé, fino alla delicata gipsofila. I tailleur, le mantelle, i grandi abiti da sera e le tuniche diventano esplosioni di ruche, balze e volumi, come fioriture primaverili che creano bellezza e movimento.

Chanel

Sobria femminilità

L’intera collezione ha abbracciato la sobrietà, la leggerezza e una visione femminile che ha poco da spartire con la tradizionale idea di sex appeal e sensualità. L’allestimento ci riporta all’infanzia di Gabrielle Chanel: quel collegio dell’Aubezine dall’atmosfera così cupa, che segnò in maniera indelebile l’estetica e le (a)cromie di Gabrielle.

La sfilata si apre con un completo in bianco e nero, collant bianchi, calzini corti e mocassini senza tacco. Anche lo styling, con i capelli portati con la riga di lato, enfatizzano l’idea di rigore, quasi scolastico, dell’outfit.

La sfilata prosegue con cappotti dalle silhouette sottili, e chemisier affusolati. La parte centrale dello show è un trionfo di ricami, disegni d’ispirazione floreale e motivi geometrici. Gli abiti finali, realizzati in pizzi preziosissimi e organze ricamate, chiudono lo show.

Schiaparelli

Tra realismo e sogno

La seconda prova per il designer Daniel Roseberry al timone della maison Schiaparelli ci è piaciuta molto. Questa seconda collezione couture celebra la dualità femminile, fatta di realismo e sogno. Per fare ciò Daniel Roseberry ha reinterpretato la figura di Elsa Schiaparelli stessa, la sua quotidianità ed il suo potente immaginario surrealista.

La collezione è un interessante dialogo tra “il giorno e la notte”. Di giorno vediamo una donna fiera che veste per sé stessa, ma allo stesso tempo nasconde qualcosa di sé al mondo. La sera, liberandosi da ogni pregiudizio e regola, l’abito si trasforma con lei, facendosi più affascinante e seducente.

I dettagli “a nuvola” tornano come un preludio alla dimensione onirica, ma il vero fil rouge della collezione sono le onnipresenti applicazioni gioiello. Un tributo all’amore per i dettagli tipico del surrealismo e del dadaismo.

Le forme scelte non sono casuali, infatti si va dal lucchetto agli iris, soggetti molto caro alla maison Schiaparelli, fino ad occhi e ossa, una celebrazione surrealista del corpo umano e una citazione alle opere dell’artista Alberto Giacometti a cui si ispirò anche Elsa Schiaparelli per realizzare il famoso “skeleton dress” insieme a Salvador Dalí nel 1938.

Unica nota negativa della collezione? I capi color blocking sul finale, disconnessi dal resto. Anche qui le citazioni di moda si sprecano, ma l’esecuzione rende questi capi delle “idee sviluppate a metà”.

Christian Dior

Girl Power nell’antica Roma

Il filone femminista di Maria Grazia Chiuri si arricchisce di un altro importante tassello, ovvero una profonda riflessione sulla condizione della donna nell’attuale società patriarcale, dove deve lottare per emergere. A questa immagine si affianca a contrasto quella della donna-dea, tipica dei culti pagani.

Abbiamo letto un sacco di recensioni entusiastiche e molto concettuali sul significato di questa sfilata, tanto che ci siamo chiesti se i critici avessero visto gli stessi abiti.

A queste sfilate, secondo la nostra umile opinione, come al solito (purtroppo) mancano degli abiti che riescano a sostenere il valore dell’immaginario che dovrebbero evocare. Non esageriamo: ogni tanto Maria Grazia Chiuri ci azzecca (in genere accade con alcuni abiti couture o accessori pret-a-porter), ma stavolta è un gigantesco NO.

Se tralasciamo la spaventosa reinterpretazione del peplo greco-romano, abito storico che veniva drappeggiato direttamente sul corpo di chi lo indossa, il resto è una sequela di design che abbiamo già visto in tutte le collezioni della Chiuri, dal pret-a-porter alla couture, solo in tessuti/colori diversi.

A volte ci chiediamo se Kim Jones non debba prendere le redini anche delle collezioni donna.

Valentino

Libertà di espressione

Il direttore creativo Pierpaolo Piccioli ha spiegato sui social che la collezione «è stata ispirata dal mistero del mondo inconscio perché a volte quello che nascondiamo può essere la forza più grande» e quindi ha lasciato libero l’abito di esprimersi nel linguaggio della haute couture.

Gli abiti sono raffinatissimi e dai tagli rigorosi, con gonne strette e lunghe che si aprano sulle caviglie, corpetti rigidi, cappe, orecchini giganti; tra i colori predominano il nero, il rosso e il bianco, con l’aggiunta di glicine, verde acido e blu elettrico – una palette che abbiamo adorato.

Claudia

Editor

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